Stiamo per rivivere il rito delle elezioni, una rappresentazione con la quale, da oltre 70 anni, celebriamo la truffa della Democrazia. L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, così recita l’art. 1 della Carta Costituzionale, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Proviamo a condurre una breve analisi dei significati contenuti in queste poche ma fondamentali parole e di ciò che abbiano inteso rappresentare coloro che collaborarono alla formazione della nostra Legge fondamentale. La forma repubblicana da quella monarchica si distingue per il titolare della sovranità: se nella monarchia la sovranità appartiene al re, in nome del quale si fa e amministra la legge, a cui egli è superiore, nella repubblica la sovranità, come ribadito nel secondo comma dell'art.1, appartiene al popolo, in nome del quale si legifera e si giudica senza che nessuno sia posto al di sopra della legge. Tratti successivi caratteristici, ma non fondamentali sono poi:
L’elettività
La temporaneità delle cariche pubbliche.
L'accesso ad esse non avviene per ereditarietà e per appartenenza dinastica, ma, appunto, per elezione, e la durata in carica non può mai essere vitalizia (se si esclude il caso particolare dei pochi senatori a vita) ma limitata ad un tempo fissato dalla legge, si tratti del Sindaco di un piccolo Comune o del Presidente della Repubblica. Diventa chiaro, in questo modo, anche il significato etimologico della parola repubblica: lo Stato non è un patrimonio familiare e dinastico che si possa trasmettere ereditariamente come un bene qualsiasi, ma è invece una "res publica", appunto una cosa di tutti. Coloro che sono temporaneamente chiamati a svolgervi un importante ruolo di direzione politica non ne sono i proprietari, ma i servitori. E, per converso, i governati non sono sudditi, ma cittadini che devono essere messi in condizione di esercitare la loro sovranità. Per questo l'articolo 1 stabilisce il carattere democratico della repubblica. Con esso, conformemente all'etimologia del termine democrazia (dal greco: demos, popolo e kratìa, potere), si intende che la sovranità, cioè il potere di comandare e di compiere le scelte politiche che riguardano la comunità, appartiene al popolo. È naturale che un simile ruolo non possa essere esercitato in forma arbitraria. L'inciso “nelle forme e nei limiti della Costituzione” sta a indicare proprio questo fatto. Più precisamente, l'esercizio effettivo della sovranità popolare avviene in varie forme, specie il diritto di voto (art. 48 Cost.), mediante il quale ogni cittadino sceglie i propri rappresentanti a cui viene delegata non la sovranità, ma la cura effettiva degli affari pubblici. Il modello appena delineato prende perciò il nome di democrazia rappresentativa e deve essere tenuto distinto da quello della cosiddetta democrazia diretta, che di fatto può essere praticato soltanto in comunità molto piccole. Mentre nel primo caso, proprio delle grandi democrazie moderne, il cittadino è rappresentato dagli eletti, nel secondo caso l'esercizio della sovranità è diretto e non richiede il meccanismo della delega e della rappresentanza. Se ne può avere un esempio nella democrazia ateniese del V secolo a.C., purché non si dimentichi che la diretta partecipazione di tutti gli uomini liberi agli affari dello Stato era resa possibile anche dall'esclusione legale delle donne, degli schiavi e degli stranieri da ogni forma di attività politica (da Wikipedia.org, l’enciclopedia libera). Proviamo ad applicare queste fondamentali definizioni a ciò che abbiamo vissuto in questi oltre 70 anni di Repubblica e di Democrazia, in vista di ciò che sta per riproporsi e che ci fa giudicare, senza possibilità di appello, truffaldina la materiale applicazione dei principi enunciati nella Carta Costituzionale. Abbiamo titolato Pupi e Pupari l’avvio alle considerazioni che precedono, intendendo indicare la presenza di realtà che assumiamo poste tra elettori ed eletti e che trasformano principi universalmente condivisi in una truffa ai danni di quel Popolo sovrano che dovrebbe esercitare … non solo il diritto al voto, ma anche il dovere di vigilare sia l’operato degli eletti che di coloro che materialmente, in suo nome, legiferano, applicano le leggi e giudicano. Crediamo che il ben poco edificante quadro che ci si prospetta imponga una profonda riflessione: 1) chi sceglie concretamente i rappresentanti del popolo? 2) chi decide quali leggi debbano essere emanate e con quali contenuti? 3) quali elementi di giudizio e poteri di controllo sono nelle mani di quel popolo che “dovrebbe” esercitare i propri diritti/doveri, essendone consapevole, a tutela del patrimonio conquistato con l’approvazione ed entrata in vigore della Costituzione? 4) che cosa è accaduto, in questi oltre 70 anni, se la maggior parte dei Cittadini sembrano aver dimenticato i valori fondamentali sui quali poggiano Repubblica e Democrazia? Forse i Pupari, molti dei quali progressivamente le cronache giudiziarie hanno fatto conoscere, hanno saputo operare continue metamorfosi e scegliere Pupi apparentemente diversi, conservando però “i fedelissimi” in posizioni strategiche, ma “riservate”, delle Istituzioni. Oggi, forse, sull’onda degli scandali sempre più incalzanti, nuove leggi consentono ai Cittadini di collaborare al progressivo ripristino della legalità, non solo operando controlli sull’operato delle pubbliche amministrazioni, ma riappropriandosi della possibilità di decidere, sia attraverso nuove metodologie di scelta dei rappresentanti del popolo che aiutando gli organi preposti a “stanare ed allontanare i Pupari”. E’ un sogno? Un’utopia? No, è soltanto una necessità impellente, non rispondendo alla quale le nostre società rinunceranno al futuro.